Riprendo il mio povero e dimenticato blog con una recensione di un libro il cui titolo è quello del post. Mi rendo conto che ormai la pazienza dei miei ventiquattro lettori e mezzo è agli sgoccioli, ma a mia discolpa devo dire che in luglio ero all'ester ed era complicato collegarsi ad internet.
Ed eccovi la recensione.
Merita rispetto Vincenzo Russo. Lo merita perché, come ci racconta in questa autobiografia dal titolo testardo, Se il destino è contro di me peggio per il destino (Mursia, 174 pagg., 12 Eu), pur avendo un handicap fisico dall'età di tre anni e provenendo da famiglia disagiata, riesce pian piano ad inserirsi nella società, a trovare un lavoro, a laurearsi ed insegnare all'interno dell'Opera Don Gnocchi.
Lo seguiamo appunto in una fugace visita al Gaslini nel '54, all'età di quattro anni, e poi quando viene inserito all'interno degli istituti creati da Don Gnocchi e ivi forzatamente quasi abbandonato dalla famiglia, costretta ad emigrare in Svizzera e a badare agli altri figli.
In questi istituti, dapprima chiusi e poi man mano più aperti alla società, Russo ci abiterà fino al '76 e si capisce come lui, che si definisce credente ma con dubbi, li veda di fatto come la sua vera famiglia che lo ha cresciuto e forgiato ed abbia per il fondatore, Don Carlo Gnocchi, una ammirazione quasi sconfinata.
Una vita certamente non facile, quella di Russo, e, per l'appunto, onore e rispetto a lui per quello che è riuscito a diventare partendo da una condizione non facile.
Tuttavia il libro non è esente da alcune pecche. Intano il rivolgersi al fratello morto come se gli stesse scrivendo delle lettere, se da un lato permette un tono confidenziale, dall'altro impedisce un identificarsi del lettore in ciò che scrive Russo.
Secondariamente appare francamente un po' agiografica la figura di Don Gnocchi, che peraltro l'autore non ha conosciuto di persona, e la vita in quegli istituti viene descritta usando spesso il filtro deformante dei ricordi della propria gioventù.
Forse il vero valore del libro risiede nella testimonianza personale di Russo di come fosse difficile, in quegli anni non lontani, vivere con un handicap e di come la società italiana mal - trattasse i disabili.
Ed eccovi la recensione.
Merita rispetto Vincenzo Russo. Lo merita perché, come ci racconta in questa autobiografia dal titolo testardo, Se il destino è contro di me peggio per il destino (Mursia, 174 pagg., 12 Eu), pur avendo un handicap fisico dall'età di tre anni e provenendo da famiglia disagiata, riesce pian piano ad inserirsi nella società, a trovare un lavoro, a laurearsi ed insegnare all'interno dell'Opera Don Gnocchi.
Lo seguiamo appunto in una fugace visita al Gaslini nel '54, all'età di quattro anni, e poi quando viene inserito all'interno degli istituti creati da Don Gnocchi e ivi forzatamente quasi abbandonato dalla famiglia, costretta ad emigrare in Svizzera e a badare agli altri figli.
In questi istituti, dapprima chiusi e poi man mano più aperti alla società, Russo ci abiterà fino al '76 e si capisce come lui, che si definisce credente ma con dubbi, li veda di fatto come la sua vera famiglia che lo ha cresciuto e forgiato ed abbia per il fondatore, Don Carlo Gnocchi, una ammirazione quasi sconfinata.
Una vita certamente non facile, quella di Russo, e, per l'appunto, onore e rispetto a lui per quello che è riuscito a diventare partendo da una condizione non facile.
Tuttavia il libro non è esente da alcune pecche. Intano il rivolgersi al fratello morto come se gli stesse scrivendo delle lettere, se da un lato permette un tono confidenziale, dall'altro impedisce un identificarsi del lettore in ciò che scrive Russo.
Secondariamente appare francamente un po' agiografica la figura di Don Gnocchi, che peraltro l'autore non ha conosciuto di persona, e la vita in quegli istituti viene descritta usando spesso il filtro deformante dei ricordi della propria gioventù.
Forse il vero valore del libro risiede nella testimonianza personale di Russo di come fosse difficile, in quegli anni non lontani, vivere con un handicap e di come la società italiana mal - trattasse i disabili.
Tu scrivi: "il rivolgersi al fratello morto come se gli stesse scrivendo delle lettere, se da un lato permette un tono confidenziale, dall'altro impedisce un identificarsi del lettore in ciò che scrive Russo".
RispondiEliminaE' ovvio che il lettore "normodotato" non potrà mai identificarsi nella vita e nelle vicissitudini personali di Russo. Semmai, la delicatezza con cui l'autore tratta gli argomenti raggiunge lo stesso scopo, anche per vie diverse da quella, per il lettore, di "sentirsi" sbattuto su una carrozzina.
Prosegui poi dicendo: "appare francamente un po' agiografica la figura di Don Gnocchi, che peraltro l'autore non ha conosciuto di persona, e la vita in quegli istituti viene descritta usando spesso il filtro deformante dei ricordi della propria gioventù".
Ma, scusa, perchè parli di filtro deformante? In quale altromodo Russo avrebbe potuto narrare la sua gioventù se non con gli occhi della gioventù???
Ciao. Alberto.
Caro alberto,
RispondiEliminagradirei tanto risponderti in privato. Se hai voglia, mandami una mail a gufo.saggio@tiscali.it
Ti spiegherò tutte le critiche che ho fatto al libro.
Intanto potresti leggerti il mio libro edito da Fratelli Frilli 'Anche i cavalli sono miopi ma trottano bene'
Sono racconti su sport ed handicap.
A presto.