Una mia amica mi ha spedito la seguente mail che vi voglio proporre in quanto indicativa del clima che stiamo vivendo. La pubblico senza commenti integralmente. Ho solo omesso il nome del paese veneto per ovvi motivi di riservatezza.
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Carissimi tutti, eccomi rientrata a Genova, spero definitivamente, dopo una lunga trasferta (per lavoro), nel nord-est. Molte volte avrei avuto voglia di raccontarvi questo strano viaggio, pieno di esperienze diverse, ma, non ci crederete, io che trovo il modo di scrivervi dalla Cina, dall'India, da Israele, non ho potuto usare internet nel nostro avanzatissimo nord-est. Infatti dal lavoro non avevo accesso, negli alberghi puoi usare solo il tuo computer, che io non avevo, gli internet point sono solo in citta'. Ora che sono tornata e sto rivedendo i miei pensieri voglio rendervi partecipi.
Ho scoperto, in un crescendo di piccole cose, quanto siamo fortunati a stare a Genova. Una delle cose che mi ha colpito nei primi giorni e mi ha dato un senso di disagio durante tutta la mia permanenza e' la non integrazione degli stranieri.Al mio primo arrivo a XXXXXX (le 23 di giovedi' 6 marzo) ho trovato la zona della stazione praticamente deserta. Le persone che ho incontrato, albanesi, romeni e un russo, mi hanno dato indicazioni per raggiungere YYYY con una gentilezza e una disponibilita' immediata. Parlando del mio arrivo ai colleghi, mi sono sentita dire che mi era andata bene: nessuno mi aveva assalita o derubata. La gente "perbene" che abita nella zona stazione si barrica in casa alle 8 di sera e protesta, attraverso i giornali, perche', secondo l'opinione comune, non puo' uscire, vista la cattiva frequentazione della zona.
A YYYY, una cittadina fra Padova e Venezia dove tutti si conoscono e dove, dopo qualche giorno, tutti sapevano chi ero e cosa facevo, ho assistito diverse volte al passaggio, sullo stesso marciapiede, di un veneto e di uno straniero.E' come se ci fosse un muro di vetro, o di gomma: non si salutano, e, entrambi con gli occhi bassi, proseguono per la loro strada. La vecchietta, che in giorno di mercato incontra la sua colf, non la guarda e non la saluta.
Quando, in una pausa sigaretta, mi e' capitato di salutare una coppia madre e figlia che dal foulard sulla testa erano chiaramente arabe, mi sono trovata sommersa da sorrisi e gentilezze espresse con un lungo discorso in arabo di cui ho capito solo una piccola parte, e mi sono fatta due amiche. Una cliente ha avuto modo di spiegarmi la sua grande fortuna, nell'aver potuto vendere il suo appartamento dopo che una coppia di nigeriani aveva preso in affitto il piano di sopra. Ha acquistato, per andarci a vivere, una casa unifamiliare, cosi' non avra' problemi di deprezzamento perche' ci arrivano gli stranieri.
Almeno, in questa nostra vecchia citta', che non ha risorse economiche o di lavoro, ci si saluta in base al fatto di conoscersi, indipendentemente dalla razza. Che bello essere genovese.
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